E’ vero che il calcio è un comune denominatore di tutti i popoli e di tutti i Paesi. E’ vero, non è un luogo comune, che il pallone rotola per le strade di Londra come per quelle polverose di Kabul; che le dittature possono fermare la stampa, la libertà di parola e di espressione, ma non potranno mai riuscire a evitare che quattro ragazzini con le maglie di giocatori occidentali mezze strappate o di pessima fattura si trovino sotto casa, anche tra le macerie, per prendere a calci una palla e sognare un mondo diverso. Migliore.
Anche in Iran si gioca a pallone.
Per “Stromberg non è un comodino” ho contattato Engin Firat, allenatore di nazionalità turco-tedesca, che ha girato molti campionati lavorando in Turchia, in Germania, in Corea del Sud e, appunto, in Iran.
Ho parlato con lui del calcio in quel Paese per noi così lontano e, nonostante le notizie su Ahmadinejad, così poco conosciuto.
Potete leggere l’articolo completo cliccando su “Stromberg non è un comodino”.

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