la bottega del calciofilo

Parole di calcio di Emanuele Giulianelli (@EmaGiulianelli)

Archivi per il mese di “aprile, 2014”

Come ricordare Boskov?

Non so come ricorderò Vujadin Boskov.
Non so se lo ricorderò come quello che a Brescia, il 28 marzo del 1993, fece esordire in Serie A con la maglia della Roma un ragazzino biondo di 16 anni, un certo Francesco Totti.
Non so se lo ricorderò come l’allenatore che fu in grado di allenare il Real Madrid e l’Ascoli, di passare con la stessa professionalità, con la stessa dedizione, dal Santiago Bernabeu al Del Duca, facendo innamorare di sè entrambe le tifoserie.
Non so se lo ricorderò per quella splendida Sampdoria, portata alla conquista della Coppa delle Coppe in quell’indimenticabile finale contro l’Anderlecht e allo scudetto, storico, del 1991.
Non so se lo ricorderò per la sfortuna con cui perse la Coppa dei Campioni del 1992 all’ultimo minuto dei tempi supplementari con la sua Sampdoria contro il Barcellona di quel cecchino di Rambo Koeman.
Non so se lo ricorderò perché c’era lui su una delle due panchine la sera in cui mio padre mi portò per la prima volta allo stadio. Era un Roma-Sampdoria, finale di Coppa Italia e Vuja era alla guida dei blucerchiati.
Non so se lo ricorderò per aver giocato in una delle più belle formazioni della Jugoslavia di tutti i tempi.
Non so se lo ricorderò per il suo cappotto.
Non so se lo ricorderò per aver accettato di allenare in Serie B, pochi anni dopo aver vinto una Liga e perso la finale di Coppa dei Campioni con il Real Madrid.
Non so se lo ricorderò per il modo in cui faceva giocare i gemelli Vialli-Mancini.
Non so se lo ricorderò per essere stato un vero signore.
Le sue frasi le metto per ultime, perché per quelle lo ricorderanno tutti.
Non so per cosa lo ricorderò: quello che so è che non lo dimenticherò.
Perché ho amato e amo ancora quel calcio di cui Vujadin Boskov è stato, è e sarà un simbolo.

Emanuele Giulianelli

Guess who scored? Not us.

That’s the football I like.
I appreciate so much when football is not taken too much seriously.
Inverness lost 6-0 on field, but it doesn’t matter. We can smile on it, that’s the best spirit to live football.

Emanuele Giulianelli

Il testamento di Tito

Senza parole.
Il mio omaggio a Tito Vilanova.
Sit tibi terra levis.

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Ukraine: Footballers Struggle to Keep an Eye on the Ball


Dynamo Kiev's Miguel VelosoMy interview to Miguel Veloso, Portuguese star of Dynamo Kyiv about football and war.
The piece was published on Eurasianet.org.

Professional athletes try to stay away from politics as a general rule. But in Ukraine these days, it’s increasingly difficult to do so. Players in Ukraine’s Premier League, the country’s top football division, say they are having a tough time concentrating on the game.

Helping to sow confusing in the Premier League is the fact that a couple of top teams, including front-runner Shakhtar Donetsk, are based in eastern Ukraine, currently the epicenter of disturbances kicked up by pro-Russian agitators. In addition, two of the 15 teams now competing in the top division play their home games in Crimea, a peninsula that Russia recently claimed as its own.

Conditions are especially bewildering for foreign players, such as Miguel Veloso, a 27-year-old midfielder who plays for Ukraine’s most storied football team, FC Dynamo Kyiv. Veloso is also expected to be a major contributor on Portugal’s national team in the upcoming World Cup tournament, to be held this summer in Brazil.

(click here to keep on reading the interview)

Emanuele Giulianelli

Artur:”L’Italia mi ha insegnato tutto. Battiamo la Juve con il collettivo”

Gazzetta dello Sport del 23 aprile 2014, ed. nazionale pagina 9: la mia intervista esclusiva ad Artur, portiere del Benfica che domani difenderà i pali della squadra portoghese nella semifinale di andata di Europa League contro la Juventus.

Artur

 

 

Giggs: Fergie boys are back in town

fergiegiggs_2765376I don’t know how many people would have accepted the challenge to lead Red Devils after 27 years of Alex Ferguson reign.
David Moyes did it. And lost.
After the last Saturday’s defeat  2-0 against Everton, he was sacked. Twist of fate: Everton was he team coached by Moyes for 11 years, another reign full of satisfactions.
But the challenge of becoming the heir of Sir Alex turned out too difficult for Moyes.

The worst Manchester United since 1990 will not reach 70 pts and David will not see the end of the season of the bench.
His place will be taken by Ryan Giggs, another legend of the club, wearing Red Devils jersey since 1990. Another twist of fate.

Ryan would be a player-manager, deputy until next June. Then it would be the turn of someone else. Maybe Klopp.
But the image of Ryan Giggs leading his team, has he’s always done in these 24 years, with the keys of the dressing room in his hand is really fascinating. And who knows if, after a legend on field, we can find another legend on the bench? He has the stigma, Sir Alex Ferguson guarantees for him.

Emanuele Giulianelli
@EmaGiulianelli on Twitter

C’era una volta in Germania

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C’è stato un tempo in cui la Germania si declinava al plurale: un tempo in cui Berlino era divisa a metà da 46 km di muro e si sparava a vista a chi cercava di passare dall’altra parte. Si studiavano espedienti per andare all’Ovest del capitalismo da parte della generazione in Trabant dell’Est.

Nel film del 2006 “Le vite degli altri” del regista viene pronunciata una barzelletta che girava sulle bocche dei tedeschi dell’Est in quegli anni e che meglio di ogni analisi politica o sociale descrive quale fosse il clima del periodo:

“Al mattino Honecker (presidente della DDR e segretario del Partito Comunista) guarda il sole e dice: “Buongiorno caro sole”, e il sole risponde: “Buongiorno caro Honecker”. A mezzogiorno ritorna alla finestra e dice: “Buongiorno caro sole”, e il sole risponde “Buongiorno caro Honecker”. La sera torna alla finestra e dice: “Buonasera caro sole”, ma il sole non risponde. E Honecker ripete: “Buonasera caro sole”. E il sole: “Baciami il culo, io ormai sono passato a ovest!”.

In 8000 ottennero un visto turistico della durata di poche ore, lo stretto tempo necessario a vedere la partita, per recarsi ad Amburgo ad assistere alla sfida che tutto il mondo voleva vedere in quei Mondiali del 1974: le due Germanie faccia a faccia, il muro sbriciolato per un attimo, Ovest contro Est, per la prima sfida di un girone in cui il caso ha voluto inserire i due fratellastri ex siamesi nello stesso girone eliminatorio. I padroni di casa occidentali si presentano alla sfida come strafavoriti, non c’è storia nei pronostici per i comunisti anche se il calcio della DDR ha da poco ottenuto un prestigioso trofeo conquistando la Coppa delle Coppe, con il Magdeburgo che ha prevalso in finale a Rotterdam sul Milan di Rivera per 2-0.

Molto di più di una partita: in ballo c’è il dominio culturale, la prevalenza identitaria di una delle due facce del Giano bifronte uscito da Yalta sull’altra, il comunismo e il capitalismo l’un contro l’altro armati e schierati, gli ospiti in maglia blu, gli occidentali con la tradizionale divisa bianca bordata di nero.DDR

Il 22 giugno, Amburgo è il teatro di uno scontro titanico e l’eroe di un’intera nazione sorge al minuto 77: si chiama Jurgen Sparwasser, che gli annali definiscono mezzala con un termine che fa parte di un vocabolario calcistico che non c’è più. Come le due Germanie del resto.

Comunque, senza scomodare paragoni biblici tipo Davide e Golia, Sparwasser trafigge Sepp Maier e regala la vittoria alla Germania Est.

Poi quelli dell’Ovest vinceranno il Mondiale, in casa propria, mentre il visto degli 8000 sarà scaduto da parecchio tempo: è valsa la pena una gita in pullman in giornata dall’altra parte del muro, dall’altra parte della cortina di ferro. Per poterci tornare bisognerà attendere il 1989. Stavolta con la propria macchina e con la possibilità di rimanerci.

Emanuele Giulianelli

Giorgetti «Ingesson e il mieloma scansato come l’orso»

secondColumn-16x9da La Gazzetta dello Sport Puglia del 17/04/2014
EMANUELE GIULIANELLI
Klas Ingesson ha sconfitto il tumore, un mieloma multiplo. Già questa potrebbe essere una splendida notizia; ma non è tutto. Il campione svedese, ex tra le altre di Bari e Lecce, è tornato ad allenare l’Elfsborg, nella sua Svezia, su una sedia a rotelle. Un uomo forte Klas, più forte di ogni avversità della vita. Ce lo racconta Rodolfo Giorgetti, amico vero più che compagno di squadra, con lui a Bari dal 1996 al 1998 e a Lecce nella stagione 2000-01.

Boschi e orsi «Appena è arrivato a Bari abbiamo subito instaurato una bellissima amicizia – ricorda Giorgetti – cementata dalle passioni comuni per la caccia, la pesca e la natura. Mi affascinavano le storie delle sue vacanze nei boschi svedesi. Mi parlava degli incontri con gli orsi e come li scansava con mestiere». Amava farsi sentire negli spogliatoi: «Un giorno a Bari in allenamento prese di petto Gaetano De Rosa e lo incitò, a brutto muso, a parlare di più. Sembrava arrabbiato, ma non era così. Mi disse che a Gaetano mancava solo il carattere per diventare un grande calciatore e che, con quella sfuriata, voleva incitarlo a tirare fuori ciò che aveva dentro. Poi, dopo gli anni trascorsi insieme sul campo, arriva la notizia della malattia. «Appena appresi che stava male, riuscii con fatica a contattare Klas. Ricordo con quale forza mi parlò del periodo che stava attraversando e, dentro di me, mi convinsi che se c’era una sola possibilità di sconfiggere quel male terribile Klas ci sarebbe riuscito: perché il Gigante buono è sempre stato un vincente e anche nella partita più importante della sua vita è uscito vincitore».

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L’ultimo Imperatore lasciato a casa

AdrianoPoche righe, uno scarno comunicato sul sito internet del club e l’Atletico Paranaense licenzia Adriano, l’Imperatore di italica memoria.
In lingua originale il messaggio è: “O atacante Adriano Leite Ribeiro não faz mais parte do quadro de funcionários do Clube Atlético Paranaense. A decisão foi tomada em comum acordo entre atleta e clube em reunião já previamente agendada que aconteceria ao final da participação do CAP na Copa Bridgestone Libertadores.O Atlético Paranaense deseja sorte ao jogador Adriano em seus próximos projetos“. Credo non ci sia bisogno di tradurre, le parole sono tanto lapidarie quanto pesanti.
Come pietre, appunto. Come la pietra sopra che, forse, stavolta il buon Adriano dovrà davvero mettere sulla sua carriera di calciatore professionista.

Professionista nei comportamenti non lo è da molti anni, troppi.
Ma mi dispiace tanto vederlo così. L’ho seguito dalla vigilia di Ferragosto del 2001, quando lanciò un siluro a velocità supersonica nella porta del Real Madrid mettendo a tacere tutto il Bernabeu, a 19 anni.
Il giorno seguente il Corriere della Sera titolava: “L’ Inter a Madrid trova un nuovo fenomeno. Vieri va in gol, il Real pareggia su rigore. Poi Adriano fa i numeri e risolve con una punizione“: la parola “fenomeno” in quel contesto aveva un peso specifico notevole, visto che era l’appellativo che si usava per Ronaldo. Quello vero.

Da lì tante promesse mai mantenute. Troppe.
Tanti momenti difficili e brutti. Troppi.
E tante speranze disilluse. Troppe.

Adriano non va lasciato solo da un mondo del calcio che dimentica troppo spesso chi è troppo fragile, chi non regge il peso di un appellativo forse troppo pesante da portare sulle spalle quando hai solo 19 anni e tutti si aspettano tanto da te. Troppo.

Io lo attendo ancora, da calciofilo, su un altro campo da calcio, a festeggiare un altro gol. Da fenomeno? No, da Adriano.

Emanuele Giulianelli

Stojanovic e la Stella Rossa dei record

slavisaL’ultimo campionato vinto risale al 2007, è trascorsa un’eternità per una squadra capace di vincere 25 titoli, tra ex Jugoslavia, Serbia-Montenegro e Serbia, ma quest’anno sembra la volta buona per tornare a festeggiare: la Stella Rossa di Belgrado guida la Superliga serba con 53 punti, tre in più dei rivali storici del Partizan, conquistati in 22 giornate di campionato.
Nonostante le difficoltà economiche, i debiti e i postumi di una stagione 2012-13 iniziata male e finita peggio, la gloriosa Crvena Zvezda si sta imponendo alla ribalta grazie alla guida dell’allenatore sloveno Slavisa Stojanovic.
Nato nel 1969, Stojanovic ha maturato esperienze nei club sloveni, per poi tentare l’avventura alla guida della nazionale degli Emirati Arabi Uniti; dopo due anni in Medio Oriente, l’approdo sulla panchina della nazionale del suo Paese con risultati altalenanti.
All’inizio di questa stagione, infine, arriva la chiamata della Stella Rossa che lo vuole per sostituire il portoghese Sa Pinto. Stojanovic sta ripagando la fiducia della dirigenza belgradese ottenendo ottimi risultati: la squadra, in questo momento, detiene un invidiabile bottino di 12 vittorie consecutive che conta di rimpinguare già sabato prossimo contro il Čukarički.
Slavisa Stojanovic è una vera e propria rivelazione del calcio europeo, lo seguo con piacere vista la mia passione per il calcio ex jugoslavo che conoscete. E la passione per la Crvena Zvezda.

Emanuele Giulianelli
@EmaGiulianelli

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