Come ricordare Boskov?
Non so come ricorderò Vujadin Boskov.
Non so se lo ricorderò come quello che a Brescia, il 28 marzo del 1993, fece esordire in Serie A con la maglia della Roma un ragazzino biondo di 16 anni, un certo Francesco Totti.
Non so se lo ricorderò come l’allenatore che fu in grado di allenare il Real Madrid e l’Ascoli, di passare con la stessa professionalità, con la stessa dedizione, dal Santiago Bernabeu al Del Duca, facendo innamorare di sè entrambe le tifoserie.
Non so se lo ricorderò per quella splendida Sampdoria, portata alla conquista della Coppa delle Coppe in quell’indimenticabile finale contro l’Anderlecht e allo scudetto, storico, del 1991.
Non so se lo ricorderò per la sfortuna con cui perse la Coppa dei Campioni del 1992 all’ultimo minuto dei tempi supplementari con la sua Sampdoria contro il Barcellona di quel cecchino di Rambo Koeman.
Non so se lo ricorderò perché c’era lui su una delle due panchine la sera in cui mio padre mi portò per la prima volta allo stadio. Era un Roma-Sampdoria, finale di Coppa Italia e Vuja era alla guida dei blucerchiati.
Non so se lo ricorderò per aver giocato in una delle più belle formazioni della Jugoslavia di tutti i tempi.
Non so se lo ricorderò per il suo cappotto.
Non so se lo ricorderò per aver accettato di allenare in Serie B, pochi anni dopo aver vinto una Liga e perso la finale di Coppa dei Campioni con il Real Madrid.
Non so se lo ricorderò per il modo in cui faceva giocare i gemelli Vialli-Mancini.
Non so se lo ricorderò per essere stato un vero signore.
Le sue frasi le metto per ultime, perché per quelle lo ricorderanno tutti.
Non so per cosa lo ricorderò: quello che so è che non lo dimenticherò.
Perché ho amato e amo ancora quel calcio di cui Vujadin Boskov è stato, è e sarà un simbolo.
Emanuele Giulianelli